EU NUCHI D’EUROPA
EU NUCHI D’EUROPA — OP-ED — L’Antidiplomatico (lantidiplomatico.it)
Alla fine di ottobre, la presidente del Parlamento Europeo Roberta Metsola ha chiesto a un giornalista se l’UE avrebbe aperto formalmente i colloqui di adesione con l’Ucraina e la Moldavia dopo aver concesso a questi Paesi lo status di candidati nel 2022.
“Se un Paese guarda all’Europa, allora l’Europa dovrebbe spalancare le porte. L’allargamento è sempre stato lo strumento geopolitico più potente dell’Unione Europea”.
Sebbene Metsola abbia semplicemente riformulato le dichiarazioni del capo della Commissione europea Ursula Von der Leyen e del presidente del Consiglio europeo Charles Michel, le parole che ha usato ben riflettono le basi ideologiche dell’espansionismo dell’UE.
Metsola confonde l’Europa con l’Unione Europea, ma non si tratta di un semplice lapsus: Bruxelles da tempo ritiene che l’UE coincida con l’Europa e che i Paesi che si trovano al di fuori dei confini dell’Unione non siano veramente europei, altrimenti come potrebbero mai “guardare all’Europa”? Diventare europei significa diventare “civilizzati”, poiché al di fuori del “giardino d’Europa” si vive in una “giungla”, almeno secondo il responsabile degli affari esteri dell’UE Josep Borrell. L’UE, che si propone come incarnazione di valori superiori, ha il dovere morale di aprire le sue porte e ammettere quei Paesi sfortunati che attualmente sono esclusi da questo giardino di delizie, e così facendo, salvarli da un imprecisato pericolo. In pratica una variazione sul tema coloniale del salvatore bianco. Poi Metsola offre l’argomento decisivo a sostegno dell’allargamento: beh, ovviamente è uno strumento geopolitico per rafforzare l’UE.
L’idea che l’allargamento renda più forte il blocco, come sostengono i suoi sostenitori, o, al contrario, acceleri la sua implosione, divide le opinioni da due decenni. Metsola opportunisticamente glissa sul fatto che senza unanimità i colloqui sull’adesione non possono nemmeno essere avviati, ma si sa che per gli eurocrati i fatti contano meno della narrazione.
Le metafore utilizzate da Metsola (la porta) e da Borrell (giardino/giungla) rafforzano la dicotomia spaziale dentro/fuori che riflette culturalmente l’opposizione tra valori positivi e negativi, civiltà e barbarie. Senza una sfera esterna “caotica”, reale o immaginaria, la struttura interna non apparirebbe ordinata, anzi non apparirebbe affatto: figura e sfondo si mescolerebbero in un continuum. Supporre l’esistenza di una giungla pericolosa abitata da barbari è essenziale per mantenere l’illusione di ordine e civiltà all’interno. Il problema è che ad ogni round di allargamento l’entropia del sistema aumenta.
La storia dimostra che quando si tenta un’espansione imperiale senza le condizioni necessarie — un esercito sufficientemente forte e un’economia in grado di sostenerlo, una leadership efficace, un’ideologia che stimoli il desiderio di impero e legami istituzionali robusti tra il centro e la periferia — il fallimento e la sconfitta sono inevitabili. Ma non chiedete ai nostri eunuchi di parlare di imperi, soprattutto di quello di cui servono gli interessi. Credono alla loro stessa propaganda e si impegnano a “proteggere, promuovere e proiettare i valori europei, difendere la democrazia e i diritti umani nell’interesse del bene comune e pubblico. Promuovere la stabilità e la prosperità nel mondo, proteggendo un ordine mondiale basato su regole, è un prerequisito fondamentale per la difesa dei valori dell’Unione”. Quando si tratta di dichiarazioni dell’UE la parodia non è necessaria, l’originale ottiene lo stesso effetto comico.
Se un’ulteriore espansione sia positiva o negativa per l’UE è l’equivalente moderno dell’antica discussione bizantina sul sesso degli angeli e, sebbene non sia possibile raggiungere un accordo, il processo si è in gran parte arenato dopo l’ingresso della più grande ondata di nuovi membri nel 2004 e della Croazia nel 2013. Allora perché negli ultimi due anni è balzato in cima all’agenda di così tanti eurocrati? Principalmente perché i sostenitori dell’espansione speravano di poter far leva sull’unità dimostrata dall’UE a fronte del conflitto in Ucraina per far passare un progetto imperialista per procura partorito dal pensiero magico di Washington. La pietra angolare di questo progetto era la piena conquista dell’Ucraina, il cui esercito addestrato dalla NATO avrebbe dovuto infliggere un colpo decisivo alla Russia. Come sappiamo, le cose non sono andate esattamente secondo i piani e quell’unità di intenti sembra ora precaria quanto il futuro dell’Ucraina.
All’Ucraina è stato promesso per anni lo status di candidato all’UE e finalmente lo ha ottenuto in cambio di un bagno di sangue. Ovviamente, non ha i requisiti per l’adesione e la prospettiva di restare per anni in una sala d’attesa affollata con altri candidati non è propriamente allettante. Bruxelles deve prima trovare e poi offrire una carota più succosa in un momento in cui i sondaggi di opinione mostrano stanchezza verso l’Ucraina.
Dopo essersi schierata in difesa dell’“ordine basato sulle regole” degli Stati Uniti, l’UE ha un sacco pieno di pagherò (promesse che non può mantenere), un’economia indebolita, e il giardino delle delizie terrene di Borrell assomiglia sempre più al pannello scuro del famoso trittico di Hieronymus Bosch.
Si potrebbe pensare che discutere dell’allargamento dell’UE mentre l’Unione si trova ad affrontare crisi importanti che la stanno mettendo alla prova fino al punto di rottura sia l’epitome della follia. In realtà, alcuni commentatori hanno già paragonato la leadership dell’UE a Nerone che strimpellava durante l’incendio di Roma. Ma a quanto pare Nerone fece anche qualcos’altro, incolpò i cristiani. Offrire un nemico interno o un nemico esterno è una tattica collaudata per schiacciare il dissenso e consolidare il potere. Ed è esattamente quello che ha provato a fare il ministro degli Esteri tedesco Annalena Baerbock in una recente conferenza a Berlino dedicata all’allargamento dell’UE. Ha detto a 17 ministri degli Esteri dell’UE e dei Paesi candidati, tra cui l’ucraino Dmytro Kuleba, che l’UE deve espandersi per evitare di rendere tutti vulnerabili.
“La Mosca di Putin continuerà a cercare di dividere da noi non solo l’Ucraina, ma anche la Moldavia, la Georgia e i Balcani occidentali. Se questi Paesi possono essere destabilizzati in modo permanente dalla Russia, allora questo rende vulnerabili anche noi. Non possiamo più permetterci zone d’ombra in Europa”. Che fine hanno fatto le promesse di crescita economica, investimenti e accesso a un ricco mercato unico? Poiché nel 2023 suonano tutte piuttosto vuote, Baerbock invoca l’uomo nero. È finita la pretesa che l’UE e la NATO perseguano strategie diverse.
Con la porta della NATO chiusa all’Ucraina e con Washington che ha spostato la sua attenzione sul Medio Oriente e sull’Asia-Pacifico, l’onere di sostenere l’Ucraina “per difendere l’Europa” è stato scaricato sull’UE.
Se dipingere la Russia come una minaccia è stato a lungo utilizzato dagli Stati Uniti per mantenere in vita la NATO, negli anni più recenti è stato sfruttato per uniformare la politica estera e la difesa degli Stati membri dell’UE. Washington ha promosso e facilitato un consolidamento verticale del potere nell’UE al fine di esternalizzare a Bruxelles alcune delle funzioni di controllo e polizia che consentono l’accumulo di capitale a livello globale e sostengono la sua egemonia.
Secondo i suoi calcoli, trattare con un vassallo solo, l’UE, sarebbe stato più facile che gestire diversi vassalli europei litigiosi e in competizione tra loro. Questa strategia riflette la scarsa conoscenza di Washington della storia e della complessità dell’Europa ed è per questo che è improbabile che produca i risultati desiderati, soprattutto dopo che gli interessi europei sono stati sacrificati sull’altare di quelli americani. Dopo aver sottratto ricchezza ai Paesi dell’UE e averne limitato il margine di manovra, la torta si è ristretta ed è naturale che la lotta per accaparrarsene una fetta si intensifichi. Saccheggiare e cannibalizzare i propri alleati non è esattamente una mossa intelligente, puzza di disperazione ed è un chiaro segno che gli Stati Uniti sono finanziariamente e militarmente sovraesposti.
Il declino economico e industriale dei Paesi dell’UE sembra ormai inarrestabile. Non potrebbe essere altrimenti quando si è intrappolati in una relazione tossica e di sfruttamento che nega la libertà di scegliere i propri amici e partner commerciali. Il centro di gravità economico e geopolitico si è spostato verso est, l’ordine mondiale unipolare emerso negli anni ’90 si sta disgregando e un nuovo ordine multipolare sta prendendo forma sotto i nostri occhi. Invece di agire in modo pragmatico perseguendo la strada dell’integrazione eurasiatica e rafforzando legami economici reciprocamente vantaggiosi con la Cina e la Russia, l’UE si è imbarcata in una missione suicida per i suoi curatori a Washington, nel tentativo vano di indebolire la Russia e contenere la Cina.
Per anni alla UE è stato concesso di partecipare alla globalizzazione a guida americana, sviluppare relazioni commerciali e cooperazione multilaterale con i Paesi vicini e con il resto del mondo. Gli Stati Uniti, invece di accettare l’emergere di una nuova realtà multipolare, hanno scelto di frenare la globalizzazione e di dividere il mondo in due blocchi, presentando la concorrenza come un confronto ideologico tra democrazia e autocrazia. Il protezionismo commerciale è aumentato, gli investimenti internazionali vengono sottoposti a un controllo più severo additando a pretesto la sicurezza nazionale, le restrizioni al flusso di informazioni e dati sono proliferate, le sanzioni sono diventate la norma.
Dopo essere stati condannati all’irrilevanza geopolitica, i Paesi europei sono chiamati a pagare il conto delle ambizioni imperiali statunitensi e a fornire assistenza militare. Un rapporto pubblicato a novembre dalla RAND Corporation ha riconosciuto che gli Stati Uniti non sono più in grado di sostenere economicamente il proprio apparato militare e ha raccomandato un approccio diverso: “I compiti che il governo degli Stati Uniti e i suoi cittadini si aspettano dalle forze armate e da altri strumenti di potere superano di gran lunga i mezzi disponibili per svolgerli (…) Poiché la deterrenza va oltre la pura potenza militare, è necessaria una solidarietà tra le principali nazioni democratiche anche nella dimensione diplomatica ed economica. Inoltre, una più stretta cooperazione e interdipendenza nell’ambito della difesa avrà effetti benefici in altri settori, contribuendo a facilitare un’azione coordinata per affrontare le sfide comuni.”
Per assistere meglio l’egemone in fin di vita, all’UE viene imposto di espandersi e di riformarsi. In realtà, la riforma è ritenuta ancora più urgente dell’allargamento: gli Stati Uniti temono che la capacità dell’UE di svolgere il compito assegnato possa essere compromessa da una manciata di Paesi che esercitano potere di veto. Al centro della discussione c’è la regola dell’unanimità dell’UE, in base alla quale ogni Paese deve essere d’accordo prima che il blocco possa prendere una decisione vincolante su questioni come la politica estera, l’assistenza all’Ucraina o norme fiscali.
Non è casuale che le argomentazioni a favore dell’espansione dell’UE e del voto di maggioranza al posto dell’unanimità vengano espresse in ambienti atlantisti. Washington ha bisogno di rafforzare il controllo sulla politica estera e sulle scelte militari dell’Europa e per questo ha intensificato le pressioni su Francia e Germania, oltre che su altri Stati europei che si oppongono alla prospettiva di un futuro ingresso di Ucraina, Moldavia e Stati dei Balcani occidentali.
La cattura dell’Europa
Nel tipo di UE che Parigi e Berlino sognavano 30 anni fa, i Paesi baltici e dell’Europa orientale avrebbero fornito terra e manodopera a basso costo e nuovi mercati inesplorati per le loro aziende — il Lebensraum ideale per gli ambiziosi e intraprendenti europei occidentali. Questo scenario neocoloniale sarebbe stato favorito dall’imperialismo culturale e facilitato dalla vicinanza geografica.
Ma nell’euforia post-guerra fredda il tandem franco-tedesco non ha prestato attenzione al Convitato di Pietra: l’espansione della NATO procedeva a un ritmo molto più veloce dell’allargamento dell’UE. Nonostante la dissoluzione dell’Unione Sovietica e del Patto di Varsavia, la NATO non era stata sciolta, anzi, la sua missione di “tenere fuori i russi, dentro gli americani e i tedeschi sotto” aveva ricevuto un nuovo impulso dopo che la NATO aveva accolto Stati le cui nuove élite politiche erano state preparate proprio per quella missione.
Non solo gli statunitensi avrebbero dettato le regole più forte di prima, ma avrebbero potuto anche contare su un maggior numero di alleati per farlo. Con l’ingresso di nuovi Stati membri nell’UE, il sentimento anti-russo ha iniziato a giocare un ruolo sproporzionato nel plasmare le relazioni dell’UE con la Russia. La russofobia era infatti stata attivamente coltivata negli Stati post-sovietici per sostenere identità nazionali fragili, e in alcuni casi totalmente artificiali, e conferire legittimità ai loro nuovi governanti.
Per tenere insieme nuovi e vecchi membri e attirare un maggior numero di candidati, l’UE ha trasformato i problemi politici in problemi tecnocratici, si è affidata a procedure legali e ha stanziato o negato risorse finanziarie per imporre la sua “visione”, è diventata un centro di formazione per chi poi procede alla diffusione di principi neoliberali, “valori” e standard occidentali. Per nascondere la sua natura antidemocratica e legittimare un apparato burocratico invasivo e completamente slegato dalla società, l’UE si è trasformata in una gigantesca macchina di pubbliche relazioni che ha drenato risorse per proiettare autorità morale e mantenere le apparenze.
Priva di legittimità democratica, l’UE ha dovuto investire notevoli risorse per creare un simulacro di democrazia. Mancando di un demos, ha dovuto inventarne uno attraverso una “missione civilizzatrice” intrapresa con zelo missionario. Per creare il nuovo “demos europeo”, le identità nazionali, culturali e religiose dovevano essere prima diluite (o gonfiate artificialmente laddove servivano in funzione anti-russa), un passo alla volta, a partire dalla scuola materna, e poi sostituite da qualche surrogato woke di identità fornito da organizzazioni come il WEF e la Open Society Foundations — grazie all’ingegneria sociale avrebbe potuto nascere una nuova civiltà europea.
Occorre ricordare che l’UE non è un attore geopolitico indipendente, né una “potenza geopolitica”, a prescindere da ciò che Borrell o Von der Leyen vanno dicendo. L’UE è stata creata per sottrarre potere agli Stati membri, erodere la loro sovranità, in modo che non sfidassero mai gli interessi e il potere degli Stati Uniti. Di conseguenza, l’UE è l’equivalente geopolitico di un buco nero. La sua architettura istituzionale, un’intricata rete di organizzazioni che sfornano aria fritta e regole incomprensibili eppure vincolanti, è talmente complicata che Henry Kissinger, quando era Segretario di Stato USA, disse: “Chi devo chiamare se voglio parlare con l’Europa?”
Né un’organizzazione internazionale né uno Stato nazionale, l’UE può essere descritta come un sistema politico sovranazionale in cui si interconnettono reti sociali, economiche, politiche e ideologiche, organismi sovranazionali, governi nazionali, amministrazioni regionali, imprese multinazionali e lobby transatlantiche.
Quindi, quando parliamo dell’UE, dovremmo ricordare che è gestita come un club privato per un gruppo di società e di élite finanziarie. Queste lobby e i loro think tank controllano la conoscenza e le informazioni che plasmano l’opinione pubblica e indirizzano i leader dell’UE, che sono invariabilmente politici falliti e mediocrità la cui carriera politica è stata agevolata dalle stesse lobby che li controllano e ne dettano l’agenda.
Poiché queste élite transatlantiche si impegnano in una lotta globale per mantenere e accrescere il loro potere, impadronirsi e controllare le risorse, dai dati digitali alle risorse naturali, formano cartelli quando i loro interessi coincidono, o competono per l’influenza politica quando i loro interessi divergono. Le “culture wars” che hanno reso praticamente impossibile qualsiasi dibattito razionale in Occidente sono spesso alimentate da queste élite, le uniche che dispongono dei mezzi per mobilitare l’opinione pubblica — attivisti, elettori e partiti — su determinate questioni culturali.
Il processo di integrazione europea è un progetto imperialista sia nel senso della relazione dell’UE con il resto della catena imperialista, sia all’interno dell’UE nelle relazioni diseguali tra i diversi Paesi.
I segnali di una profonda crisi dell’integrazione europea si sono moltiplicati — la Brexit è l’esempio più evidente ma non l’unico. La crescente crisi di legittimità è esemplificata anche dalla reazione degli elettori nei Paesi dell’UE. Contrariamente alle accuse di “populismo” e “nazionalismo” rivolte a chiunque sia critico nei confronti dell’integrazione europea, ciò che emerge è piuttosto l’ansia causata dal senso di una perdita del controllo sulle proprie vite, e dalla sfiducia verso le istituzioni europee, percepite come essenzialmente antidemocratiche.
Poiché il tenore di vita continua a diminuire e le promesse di prosperità e welfare nel giardino europeo sono in gran parte disattese, l’insoddisfazione e il dissenso stanno aumentando, e non solo tra la gente comune. Il nervosismo riguarda anche alcune élite nazionali penalizzate dall’ostilità dell’UE nei confronti della Russia e, in misura crescente, della Cina. Il potenziale di crescita economica dell’UE si è esaurito e la maggior parte dei membri del blocco soffre di deficit di bilancio e di un eccessivo debito pubblico.
Ma poiché gli Stati Uniti hanno bisogno di tutte le forze per sostenere un’egemonia in rapido declino, all’UE è stato affidato il compito di puntellarla in Europa, intrecciando la NATO e l’UE in un’architettura di controllo e propaganda — operazioni di guerra ibrida sono state lanciate contro la popolazione europea con il pretesto di difenderla dalla disinformazione russa. In questo contesto, maggiori risorse vengono dirottate verso il bilancio della difesa e degli apparati di intelligence e verso i proxy statunitensi come l’Ucraina. A prescindere da come la si giri, è evidente che solo poche aziende ben ammanicate traggono vantaggio dall’aumento delle spese belliche e di ricerca e sviluppo militare degli Stati membri.
L’emergenza Covid-19 ha offerto agli Stati Uniti l’occasione perfetta per verificare se tutti gli alleati europei erano in fila sull’attenti. Per la prima volta nella sua storia, l’UE ha adottato una strategia di approvvigionamento comune: l’acquisto congiunto di vaccini non solo ha messo alla prova la coesione, il coordinamento, la capacità di “agire rapidamente” e di mobilitare risorse finanziarie, ma ha costituito un precedente che ha poi facilitato l’acquisto congiunto di armi per l’Ucraina e l’imposizione di sanzioni alla Russia. L’esclusione dei vaccini russi e cinesi ha dimostrato agli USA che si potevano fidare che l’UE obbedisse agli ordini anche quando questi erano in conflitto con i suoi interessi economici: i sieri mRNA statunitensi erano più costosi dell’alternativa e si basavano su una tecnologia la cui sicurezza non era stata dimostrata. I media e i dibattiti politici dell’UE hanno utilizzato un linguaggio bellico facendo riferimento a una “guerra” contro il Covid-19, il virus è stato “combattuto”, i medici e i paramedici sono stati descritti come “soldati in prima linea”.
La metafora cognitiva della guerra ha contribuito a strutturare la percezione della realtà. Lo stato di eccezione è stato normalizzato, portando alla sospensione dei diritti costituzionali. La pandemia ha offerto il pretesto per realizzare la più vasta psyop mai tentata in tempo di pace: ogni manifestazione pubblica di dissenso o di non conformità a regole insensate è stata duramente repressa, i media e i social media sono stati usati come arma per il lavaggio del cervello e per censurare il dissenso, è stato potenziato il nuovo esercito di “fact-checkers” dell’UE ed è stata estesa la penetrazione della sorveglianza digitale.
I lockdown hanno portato a enormi perdite economiche (e a guadagni per una manciata di aziende tecnologiche e farmaceutiche, per lo più statunitensi), ma anche a un cambiamento di paradigma nelle politiche fiscali, monetarie e di investimento dell’UE, in particolare attraverso l’adeguamento degli aiuti di Stato per consentire agli Stati membri di sostenere le proprie economie con interventi più diretti. Questo ha segnato una rottura con la politica di austerità adottata dopo la crisi finanziaria del 2008. Man mano che gli Stati si indebitavano, dovevano cedere ancora più sovranità all’UE: le strategie e gli obiettivi di sviluppo degli Stati membri dovevano allinearsi alle priorità stabilite dall’UE e di cui beneficiavano principalmente gli Stati Uniti. La trappola del debito è stata presentata come un piano di ripresa con nomi altisonanti come Next Generation EU (NGEU) — 360 miliardi di euro in prestiti e 390 miliardi di euro in sovvenzioni.
Come si dice, mai sprecare una crisi. Un’emergenza crea un senso di urgenza e la necessità di agire rapidamente, cosa che riduce seriamente la capacità di analisi. Questo approccio ha spianato la strada all’accettazione di perdite ancora maggiori in seguito, quando l’UE ha imposto sanzioni alla Russia che si sono trasformate in un boomerang. Una potenziale esitazione a rinunciare al gas russo è stata prontamente anticipata dal suo “partner” statunitense attraverso il sabotaggio dei gasdotti Nord Stream.
Gli eurocrati che amano essere amati, in particolare la manifestazione di amore a pagamento, sono ora tenuti a guinzaglio corto. Si stima che a Bruxelles ci siano circa 30.000 lobbisti registrati che da decenni diffondono amore. Ma negli ultimi tempi solo ai lobbisti statunitensi è stato concesso libero accesso. Sembra che gli arresti seguiti al Qatargate siano stati un avvertimento per gli eurocrati: accettare tangenti da certi attori stranieri come il Qatar non sarà più tollerato. Gli interessi transatlantici devono sempre venire prima di tutto.
Allargamento dell’UE — cui prodest?
Sebbene l’espansione sia stata sancita nei documenti ufficiali dell’UE come un imperativo geostrategico, l’Unione Europea si trova oggi ad affrontare sfide ben più grandi di quelle che ha dovuto affrontare negli anni successivi alla Guerra Fredda. All’inizio degli anni Novanta, i leader europei hanno discusso se allargare l’Unione, assorbendo i Paesi del blocco orientale, o se approfondire la sua integrazione. Hanno provato entrambe le cose e il risultato è un pasticcio insostenibile secondo tutti gli indicatori socio-economici, anche prima di considerare i costi allucinanti del sostegno all’Ucraina, la perdita di risorse energetiche russe e le sanzioni boomerang.
I think tank, gli eurocrati e i media hanno recentemente intensificato i loro sforzi per far passare gli esempi passati di allargamento dell’UE come un successo e un possibile allargamento futuro come un’opportunità, ma al di fuori dell’eco dei loro ambienti lo scetticismo sta crescendo.
Se si parla di allargamento è perché le chiacchiere costano poco. Chiedete alla Macedonia del Nord, un Paese a cui è stato concesso lo status di candidato nel 2005 e che è ancora in lista d’attesa. La candidatura dell’Ucraina e della Moldavia è stata accettata frettolosamente nel 2022 per far penzolare una carota davanti a loro, sapendo perfettamente che nessuno dei due Paesi soddisfa i criteri per entrare nell’Unione. Inoltre, per l’UE è sempre meglio tenerli in sospeso, senza mai concludere l’accordo. A nove Paesi è stata fatta formalmente la stessa promessa, e non si può accelerare l’adesione di Ucraina e Moldavia senza provocare risentimento tra gli altri.
Ma poiché Washington teme che i “paesi politicamente ed economicamente vulnerabili” perdano la pazienza con l’UE e trovino partner più attraenti per sostenere il loro sviluppo, vale a dire Cina e Russia, l’UE deve continuare a fare promesse e, soprattutto, a finanziare le élite politiche nei paesi vicini per rafforzare il proprio potere e le proprie clientele. Gli Stati Uniti contano anche sull’UE per finanziare gli sforzi bellici dell’Ucraina e la ricostruzione di ciò che rimarrà di questo paese fallito una volta terminato il conflitto militare. Vogliono che siano i contribuenti europei a farsi carico del conto: il sostegno dell’UE al regime di Kiev ha ormai raggiunto gli 85 miliardi di euro e Von der Leyen ha promesso che ne arriveranno altri. La Commissione Europea ha proposto ulteriori 50 miliardi di euro per il “Fondo per l’Ucraina” per il periodo dal 2024 al 2027. Nel 2022 il Parlamento Europeo aveva approvato 150 milioni di euro per sostenere il governo fantoccio di Maya Sandu in Moldavia.
Poiché l’UE non può espandersi senza implodere, Francia e Germania hanno invitato 12 esperti a formare un gruppo di lavoro sulle riforme istituzionali dell’UE. Hanno elaborato una serie di proposte per una struttura a più velocità che consentirebbe ad alcuni Stati membri di integrarsi più profondamente in alcuni settori e impedirebbe ad altri di fermarli. Il rapporto propone di eliminare i requisiti per il voto all’unanimità, anche se la soppressione dei veti comporta l’accettazione di diversi livelli di impegno. Il rapporto prevede quattro livelli di adesione, di cui gli ultimi due al di fuori dell’UE. Questi “cerchi concentrici” comprenderebbero un cerchio interno i cui membri potrebbero avere legami ancora più stretti di quelli che legano l’attuale UE; l’UE stessa; l’adesione associata (solo al mercato interno); e il cerchio più esterno della nuova Comunità Politica Europea.
Il principale “vantaggio” per l’Occidente collettivo è che tutti i Paesi di questa “Europa” saranno separati dalla Russia e dalla Bielorussia, ma non è chiaro quali siano i vantaggi per i Paesi del cerchio esterno, dato che otterrebbero un accesso limitato o nullo al mercato unico, ma rinuncerrebbero a parte della propria sovranità nazionale a favore di Bruxelles, perdendo autonomia e spazio di manovra in un mondo multipolare.
Lo scorso ottobre, la Comunità Politica Europea — un gruppo di discussione che comprende i leader dei Paesi dell’UE, dei candidati all’adesione, della Svizzera, della Norvegia, del Regno Unito e persino dell’Armenia e dell’Azerbaigian — si è riunita a Granada per discutere di un potenziale allargamento del blocco. L’incontro avrebbe dovuto rafforzare la determinazione di tutti, ma ha invece approfondito le riserve di coloro che non si sono mai esaltati all’idea di allargare l’UE a spese degli attuali membri. Alcuni membri hanno già fatto i conti e si sono resi conto che se l’allargamento proposto andrà avanti dovranno pagare di più e ricevere di meno dal bilancio dell’UE: i beneficiari netti diventerebbero contribuenti netti. È comprensibile che non siano troppo entusiasti di questa prospettiva.
Mentre la maggiore integrazione UE-NATO e l’espansione verso est hanno creato nuove potenti lobby e una nuova classe di eurocrati ultra-atlanticisti, gli Stati membri dell’UE hanno perso ogni parvenza di autonomia strategica e quindi ogni possibilità di proteggere o promuovere i propri interessi economici e geopolitici. Inizialmente è stata la classe operaia dei Paesi dell’Europa meridionale e occidentale a sopportare il peso dell’espansione dell’UE, poi anche la classe media ha iniziato a sentirne il peso. Oggi il PIL pro capite dell’Italia è sceso al livello del Mississippi, lo Stato più povero degli Stati Uniti; quello della Francia è un po’ meglio, ma si colloca a metà strada tra l’Idaho e l’Arkansas, mentre quello della Germania, il motore dell’economia europea, è pari a quello dell’Oklahoma. Non proprio un risultato di cui vantarsi.
Sebbene gli euroscettici siano diventati più numerosi in questi Paesi, la loro influenza politica è limitata. I loro avversari rappresentano gli interessi di una nuova élite politica ed economica emersa grazie alla co-costituzione materiale e simbolica dell’apparato amministrativo e burocratico dell’UE. Questa élite, attraverso la ripartizione e l’erogazione dei fondi, può indurre al rispetto delle regole o premiare la lealtà dei politici. Controllando i cordoni della borsa, può agire come kingmaker in ogni Paese dell’UE.
Va da sé che questa élite condivide l’habitus e l’ideologia neoliberale delle élite transnazionali più a loro agio a Londra e New York che a Bruxelles. Sarebbe ingenuo aspettarsi che difenda gli interessi europei. Infatti, non lo fa. I Paesi dell’eurozona, che 15 anni fa avevano un PIL di poco più di tredici trilioni di euro, oggi lo hanno aumentato di due miseri trilioni, mentre gli Stati Uniti hanno quasi raddoppiato il loro PIL (da 13,8 a 26,9 trilioni di euro) nonostante la loro minore popolazione. Secondo il Financial Times, l’economia dell’Unione Europea è oggi pari al 65% di quella degli Stati Uniti. Il dato è in calo rispetto al 91% del 2013. Il PIL pro capite statunitense è più del doppio di quello europeo e il divario continua ad aumentare. Un ottimo lavoro veramente!
Se i leader dell’UE vengono abitualmente scavalcati a favore dei leader nazionali nei negoziati internazionali, è perché l’UE rientra nella definizione di tigre di carta. L’unità dimostrata nei confronti della guerra per procura in Ucraina non può essere mantenuta a lungo e i suoi principali artefici statunitensi ed europei non saranno più in carica tra un anno. L’assetto politico europeo non si adatta a una politica estera aggressiva. Così, quando Borrell parla della necessità per l’Europa di trasformarsi da soft power a hard power, dimentica che l’UE non è un attore statale. Ha alcuni degli attributi della statualità — personalità giuridica, alcune competenze esclusive, un servizio diplomatico e alcuni Paesi dell’UE hanno una moneta comune — ma in definitiva è un ibrido e come tale non può partecipare al “great game” della competizione tra potenze. E, a dire il vero, non sarà attrezzata per farlo per molti anni a venire. Una “UE geopolitica” rimane poco più che una fantasia consolatoria basata sul suo potere di attrazione — la fila per entrare.
***Qui la versione originale dell’articolo pubblicato in inglese The United Eunuchs of Europe — Strategic Culture (strategic-culture.su)