PARTENARIATO ORIENTALE, LA SCOMMESSA GEOPOLITICA DELL’UE CHE STA INABISSANDO L’EUROPA
La cooptazione di sei paesi ex-sovietici da parte dell’Unione Europea li ha trasformati in un campo di battaglia per la guerra ibrida contro la Russia e ha fondamentalmente minato l’architettura della sicurezza europea.
<Traduzione italiana di Eastern Partnership, the EU’s Geopolitical Gamble Leading Europe Into the Abyss — Strategic Culture (strategic-culture.org)>
Nel febbraio 2007, alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco, Vladimir Putin pronunciò un discorso molto incisivo che segnalava la ritovata fiducia in se stessa della Russia e annunciava il desiderio e la disponibilità di Mosca a svolgere un ruolo di primo piano nelle relazioni internazionali. In quella sede il presidente russo criticò come pericolosi e futili i tentativi degli Stati Uniti di creare un ordine mondiale unipolare in un momento in cui stavano emergendo nuovi poli. Sottolineò anche con forza che l’espansione della NATO e il dispiegamento di sistemi missilistici nell’Europa orientale costituivano una minaccia per la sicurezza della Russia. Gli Stati Uniti ritennero il suo discorso un atto di sfida: le relazioni USA-Russia diventarono più fredde, più tese e Washington iniziò ad elaborare nuovi piani per contenere le legittime aspirazioni della Russia. L’attuazione di questi piani richiedeva una più stretta collaborazione tra la NATO e l’Unione Europea: spinta dagli USA, l’UE decise di intensificare il suo coinvolgimento nello spazio post-sovietico.
Ovviamente, l’UE aveva sempre avuto un interesse per i paesi situati fuori dai propri confini. Ad esempio, la strategia di sicurezza europea (ESS) del 2003 aveva già raccomandato un “impegno preventivo” attraverso la promozione di “un anello di paesi ben governati a est dell’Unione europea”(1), ma mancava un quadro istituzionale per coordinare gli sforzi. Il cambio di passo fu sollecitato dagli Stati Uniti dopo il discorso di Monaco.
Nel maggio 2008, al Consiglio Affari Generali e Relazioni Esterne dell’UE a Bruxelles, Polonia e Svezia presentarono la proposta di un partenariato speciale con Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Georgia, Moldova e Ucraina. Durante il vertice di Praga del maggio 2009, il concetto venne ufficialmente tradotto nel Partenariato Orientale (EaP).
Apparentemente il Partenariato Orientale fu lanciato per rafforzare la cooperazione economica e politica tra l’UE e i paesi ex sovietici parallelamente alla cooperazione con la Russia, ma presto divenne chiaro che i suoi obiettivi reali erano piuttosto diversi: strappare questi paesi alla Russia, trascinarli nella sfera di influenza occidentale, dove ci si aspettava che contribuissero alla politica di sicurezza e difesa comune dell’UE e, ultimo ma non meno importante, la loro trasformazione in una rampa di lancio per la guerra ibrida che sarebbe stata condotta contro la Russia.
Non sorprende che gli “architetti” del partenariato orientale fossero due noti russofobi , entrambi ben inseriti nella rete di influenza anglo-americana.
Radosław Sikorski, un ex membro del think tank neocon American Enterprise Institute, due anni prima aveva rinunciato alla cittadinanza britannica, ma non alla sua fedeltà al Regno Unito, per diventare prima ministro della Difesa e poi ministro degli Affari Esteri nel suo paese natale, la Polonia. Il suo amico e collaboratore, Carl Bildt, impopolare Primo Ministro e Ministro degli Affari Esteri in Svezia, aveva ricoperto posizioni di rilievo in influenti think tank atlantisti. In veste di entusiasta lobbista della guerra, anche lui aveva mantenuto relazioni molto strette con i neocon americani che lo utilizzavano per portare avanti i loro programmi in Europa: nei cablogrammi diplomatici statunitensi pubblicati da Wikileaks, Carl Bildt è stato descritto come “un cane di taglia media con l’atteggiamento di un cane di grossa taglia”, una descrizione poco lusinghiera ma calzante per chi ha il compito di tutelare gli interessi del suo padrone. Il tradimento della neutralità formale del suo paese e la collaborazione con una potenza straniera risale agli anni ’80, quando passò documenti governativi riservati ad un addetto dell’ambasciata statunitense(2).
Il Partenariato Orientale fu inaugurato dall’Unione Europea a Praga il 7 maggio 2009, mentre l’Europa soffriva ancora della sua peggiore recessione economica. Il giorno dopo, nella stessa città, il vertice “Southern Corridor — New Silk Road” esaltava i vantaggi di una rotta di approvvigionamento di gas naturale dal giacimento dell’Azerbaigian Shah Deniz (gestito da BP, che risulta essere anche il maggiore azionista) verso i mercati europei. Il Southern Gas Corridor da 33 miliardi di dollari, non solo sarebbe diventato uno dei progetti di infrastrutture energetiche più grandi e costosi al mondo, ma avrebbe anche lasciato dietro di sé una scia di devastazione ecologica, scandali e corruzione. Tuttavia venne elogiato dagli Stati Uniti come una pietra angolare della politica dell’UE di diversificazione delle fonti energetiche per emanciparsi dalla dipendenza dal gas russo.
Non solo il Partenariato Orientale e il Southern Gas Corridor sono indissolubilmente collegati, ma le impronte degli anglo-americani sono visibili in entrambi i progetti. L’inclusione dell’Azerbaigian — geograficamente, culturalmente e convenzionalmente considerato parte dell’Asia — nel Partenariato serviva anche ad altri scopi strategici: cementare il corso filo-occidentale di un paese alleato con Israele, Turchia e Stati Uniti, strumentalizzare Baku per interferire nell’Iran settentrionale, far deragliare qualsiasi progetto di connettività eurasiatica.
Tra retorica e realtà
Il Partenariato Orientale è stato presentato ai membri dell’UE come un forum istituzionale per discutere accordi sui visti, accordi di libero scambio e partenariato strategico, evitando al contempo il controverso tema dell’adesione all’Unione Europea. In quel momento l’Europa doveva fare i conti con la sua più profonda recessione dagli anni ’30, diversi stati membri dell’UE si stavano adoperando per salvare le banche e ripagare il loro debito pubblico, le misure di austerità e i tagli alla spesa avevano ulteriormente ridotto il PIL, mentre aumentava la povertà e il risentimento contro gli eurocrati. Sarebbe stato inopportuno discutere apertamente di un dirottamento delle risorse verso paesi che non erano nemmeno membri dell’UE. Eppure Bruxelles decise di dare avvio a programmi di aiuto e finanziamento in tutti e sei i paesi del Partenariato Orientale in coordinamento con le agenzie statunitensi. La maggior parte di questi programmi serviva a creare o consolidare relazioni clientelari e reti di influenza in settori quali legislazione, informazione, sicurezza, istruzione, cultura ed economia, con il pretesto di promuovere la democrazia, i diritti umani e lo stato di diritto, oltre all’integrazione politica ed economica, ecc.
Al vertice inaugurale del Partenariato Orientale, Radosław Sikorski caratterizzò l’iniziativa come un’espressione del soft power dell’UE, la capacità di ottenere ciò che si desidera attraverso l’attrazione piuttosto che la coercizione e il denaro. In altre parole, proiettare un’immagine, un “marchio” e plasmare la percezione al fine di ridurre i costi in termini di “bastoni e carote” per garantire i risultati politici desiderati.
La fase precedente del processo di allargamento dell’UE aveva mostrato che i paesi che si adattavano gradualmente all’apparato legislativo dell’UE e alla sua normativa politica sarebbero finiti per diventare parte dell’unione. Ma l’UE, dopo il 2008, non solo aveva perso il suo sex appeal, ma difficilmente poteva accogliere nuovi membri senza implodere.
Ben presto si capí che il soft power da solo non sarebbe bastato: milioni di euro vennero diretti nei paesi del Partenariato Orientale per finanziare vari progetti sulla base della condizionalità: il finanziamento sarebbe stato trattenuto se non si fossero compiuti progressi verso la “democratizzazione” (cioè l’elezione dei candidati controllati e approvati da USA-UE) e per combattere la corruzione (vale a dire indagare, e spesso incastrare, politici filo-russi mentre si corrompevano i loro oppositori).
Anche se gli “indici di democrazia” continuavano a peggiorare, finché i governi di questi paesi avessero mostrato lealtà al blocco occidentale e implementato le riforme ideate dagli eurocrati, essi avrebbero continuato a ricevere sostegno finanziario e politico.
Ben presto l’Unione Europea divenne il principale donatore per gli stati del partenariato orientale, promuovendo il brand “Europa” in termini di grandi obiettivi idealistici piuttosto che di risultati economici tangibili che nessuno poteva assicurare.
Sebbene i paesi del Partenariato Orientale siano estremamente diversi tra loro, hanno anche molto in comune: l’uso diffuso del russo come lingua franca, un passato e una memoria storica condivisi, legami di lunga data con la Russia di tipo commerciale, culturale e sociale. Il compito dell’UE era assistere gli Stati Uniti nel dipingere questo patrimonio condiviso come lascito dell’ “imperialismo e totalitarismo sovietico” al fine di distruggere tale patrimonio, cancellare l’uso del russo, demonizzare qualsiasi forma di cooperazione con la Federazione Russa.
Contrariamente alle aspettative di sicurezza, stabilità e sviluppo socioeconomico che molti associavano ad una maggiore integrazione sotto l’egida dell’UE, l’interferenza occidentale alle porte della Russia ha portato guerra, povertà, spopolamento, fuga di cervelli e instabilità.
Non sorprende se si pensa al vero scopo del Partenariato Orientale: sostenere gli obiettivi geopolitici degli Stati Uniti nella regione mostrando alcune carote ai vicini orientali dell’UE e colpendoli con un bastone se deviavano dal precritto tracciato anti-russo.
Prima della creazione del Partenariato Orientale, gli Stati Uniti avevano già orchestrato e finanziato due rivoluzioni colorate che avevano portato al cambio di regime in due paesi strategicamente significativi sulla scacchiera eurasiatica, la “rivoluzione delle rose” in Georgia e la “rivoluzione arancione” in Ucraina, ma mantenere il controllo dello spazio post-sovietico diventava sempre più costoso e prosciugava troppe risorse. Gli Stati Uniti non avevano altra scelta che affidare alcuni compiti e funzioni al loro vassallo, l’UE.
Il Partenariato Orientale ha fornito il quadro normativo per erodere lentamente la sovranità e l’autonomia degli Stati membri, aumentando così la loro dipendenza dall’UE.
Invece di riconoscere le legittime preoccupazioni della Russia in materia di sicurezza e cercare una soluzione pacifica delle controversie, l’UE ha alimentato tensioni e conflitti nei paesi del Partenariato Orientale.
Per quanto riguarda le promesse di pace e stabilità nella regione, cinque dei sei membri originari del Partenariato Orientale hanno dispute territoriali; l’Ucraina ha subito un secondo colpo di stato guidato dagli Stati Uniti nel 2014 e da allora è in guerra grazie al supporto cruciale di USA-NATO-UE; la Bielorussia, l’unico paese senza dispute territoriali, ha visto una rivoluzione colorata nel 2020, è riuscito a prevenire un colpo di stato e ha saggiamente lasciato il Partenariato. Nel caso in cui si nutrano ancora dubbi su chi abbia sostenuto e parzialmente finanziato il colpo di stato, l’UE elenca ancora la Bielorussia come membro del Partenariato Orientale riconoscendo Svetlana Tikhanovskaya e la “società civile bielorussa” come suoi rappresentanti.
Sebbene il Partenariato Orientale sia praticamente sconosciuto tra i cittadini europei, da oltre un decennio gli emissari dell’UE e i loro clienti locali promettono ai membri del Partenariato vari vantaggi e un’ulteriore integrazione nell’UE, in cambio della rottura di tutti i legami con la Russia e dell’aumento di volume della loro russofobia.
Qualsiasi cosa può essere usata come leva, anche la liberalizzazione dei visti, o la minaccia della sua sospensione. Finora solo tre paesi su sei, Georgia, Moldova e Ucraina, sono stati premiati con accordi di liberalizzazione dei visti in cambio di “progressi verso la democrazia”. E chi potrebbe valutare i loro progressi meglio di un’organizzazione statunitense che si dedica al “regime change”?
Tra i suoi numerosi servizi, il National Endowment for Democracy (NED) fornisce consulenza all’UE anche in materia di visti. (3)
Un’altra leva utilizzata è lo status di “candidato all’UE”, che non è altro che un passo verso il nulla: la lista d’attesa per l’adesione all’UE è così lunga che le possibilità che i membri del partenariato orientale aderiscano è inferiore alla possibilità che l’UE si sciolga.
Al momento solo due paesi, Moldavia e Ucraina, hanno ricevuto lo status di candidati. L’Ucraina se l’è guadagnato pagando un tributo di sangue: i suoi soldati vengono usati come carne da cannone nella guerra per procura contro la Russia. Il governo fantoccio della Moldavia è stato premiato per la sua posizione anti-russa, anche se è improbabile che la promessa di adesione all’UE in un lontano futuro possa alleviare il dolore e la rabbia dei cittadini moldavi che stanno affrontando le conseguenze del collasso economico, la criminalizzazione degli oppositori politici e la povertà energetica.
Se in passato l’UE ha propagandato l’adesione al suo “club per ricchi” come un percorso verso la prosperità e la crescita economica, dopo il crollo finanziario del 2008 e la persistente crisi sistemica, quella narrazione ha iniziato a suonare falsa sia all’interno che all’esterno del club. Ed è per questo che il controllo della narrazione è diventato una priorità. Nessuna spesa viene risparmiata per manipolare l’”infosfera”, quel regno metafisico di informazioni, dati, conoscenza e comunicazione che modella la percezione a discapito dell’osservazione empirica.
Nei paesi del Partenariato Orientale i cittadini hanno subito il peso maggiore delle riforme neoliberiste e delle politiche suicide di Bruxelles: in milioni sono stati costretti a emigrare per sfamare se stessi e le loro famiglie. Questi paesi erano legati strettamente al mercato russo e il riorientamento delle esportazioni verso i mercati dell’UE non solo ha richiesto costose riforme strutturali, ma non ha neppure mantenuto le sue promesse.
Pochissimi vincitori e molti perdenti
Poiché tutti e cinque i rimanenti paesi del Partenariato Orientale restano fragili, ben poco democratici, economicamente depressi, lacerati da conflitti o tutte e quattro le cose contemporaneamente, l’idea che intere società avrebbero goduto ad essere penetrate dall’UE è chiaramente assurda.
Ma, come sempre, ci sono alcuni vincitori tra i milioni di perdenti. C’è chi ha beneficiato del sistema di relazioni clientelari che ha contribuito a costruire la maggior parte dell’infrastruttura sociale, politica, economica e culturale sottesa alla penetrazione dell’UE nello spazio post-sovietico.
Gli affiliati dell’UE ei beneficiari degli aiuti europei hanno ottenuto l’accesso a potenti reti e fonti di finanziamento che hanno consentito loro di accumulare capitale politico, potere e status creando la propria clientela. Una conoscente georgiana che gestisce un’agenzia di marketing e pubblicità mi ha detto che l’80% del suo fatturato proviene da campagne di marketing sociale per organizzazioni no profit sponsorizzate dall’UE. Non sorprende che lei e il suo staff sostengano attivamente tutte le cause progressiste che la sua agenzia aiuta a promuovere: attivismo e affari si rafforzano e si alimentano a vicenda.
La maggior parte dell’assistenza della UE va a coloro che promuovono il simulacro della democrazia occidentale e dello “stato di diritto”, i diritti umani (solo alcuni), l’agenda LGBT, il “new deal verde” e la transizione digitale, e a coloro che “combattono la disinformazione”, che è solo una parola in codice per produrre e diffondere narrazioni occidentali e propaganda anti-russa, censurare il dissenso, cancellare i media russi e filo-russi.
Concentrarsi su alcuni mitici valori occidentali è più facile che portare prosperità.
Anche secondo i suoi stessi parametri, l’Unione Europea ha fallito come entità economica. La performance dell’UE è stata pessima rispetto ad altre grandi economie. La stagnazione, l’elevata disoccupazione, l’eccessiva regolamentazione dell’attività economica e un deficit di democrazia hanno portato a un diffuso risentimento. I critici puntano il dito contro l’elaborazione di politiche e normative sovranazionali, poiché essa avviene in organismi tecnocratici, opachi e chiusi come comitati o agenzie che non sono eletti dal popolo e sfuggono al controllo pubblico.
L’esternalizzazione a società di consulenza gestionale ha portato alla perdita di responsabilità e ha prosciugato il significato stesso della democrazia.
È proprio a causa del deficit di democrazia e della mancanza di legittimazione che la retorica democratica è stata gonfiata e grandi risorse sono state investite nel marketing dell’UE come bastione di “democrazia, libertà e diritti umani”.
L’UE assomiglia ad un gigantesco schema piramidale: il benessere dei partecipanti a questa frode dipende molto dalla possibilità di attrarne di nuovi. I membri più attivi nelle attività di evangelizzazione sono invariabilmente quelli che vi hanno aderito in tempi relativamente recenti, come gli stati baltici. La loro adesione all’Unione europea si è rivelata deludente, piuttosto diversa dalle promesse ricevute nel 2003–2004. Gli investimenti diretti esteri negli Stati baltici sono crollati durante la crisi del debito del 2008–2009, oggi rimangono deboli e si trovano nella “trappola del reddito medio” con redditi che equivalgono a circa il 70% del reddito medio registrato nell’UE.
L’UE, come un vampiro, li ha risucchiati economicamente e demograficamente, ma avendo investito nello schema piramidale devono trovare altre vittime per aumentare il loro profilo a Bruxelles. Cittadini di Lituania, Lettonia, Estonia e paesi dell’Europa orientale con lauree inglesi spiccano nei luoghi prescelti per il “regime change”, nei think tank, nelle ONG, nelle reti di influenza online e offline, nell’intelligence e nelle psyop. In qualità di emissari dell’UE, forniscono “assistenza tecnica” ai paesi del Partenariato Orientale, condividono la loro esperienza, soprattutto nel settore pubblico, per facilitare l’attuazione di riforme politiche, economiche e sociali e continuano a difendere in modo aggressivo gli interessi angloamericani sia nell’UE che negli Stati post-sovietici.
I valori e le norme occidentali e liberali sono promossi come tutte le merci: sfruttando le paure recondite di inadeguatezza e rifiuto sociale, promettendo status e un senso di superiorità morale, inducendo desideri che oscurano i bisogni materiali.
Spesso è difficile distinguere tra schemi piramidali, clientelismo transnazionale, marketing evangelico e marketing da affiliato, poiché tendono a sovrapporsi. Se inizialmente si può osservare una distinzione, gli evangelisti credono in ciò che promuovono mentre gli affiliati traggono vantaggio dalla promozione, alla fine gli evangelisti più ambiziosi e abili diventano affiliati. Se trasponiamo questo modello di marketing nella sfera politica, gli attivisti svolgono la funzione di evangelisti. Non appena costruiscono una notevole influenza, viene offerta loro l’opportunità di diventare affiliati e quindi ricevere incentivi come finanziamenti per le loro campagne, maggiore visibilità sui media, una spinta sui social media, inviti a conferenze internazionali, opportunità di istruzione superiore e carriera, un libro, un tour internazionale, ecc. Qualunque cosa li faccia contenti. Una volta completata la transizione da “attivista/evangelista” ad “affiliato”, i promotori dell’UE entrano a far parte di un sistema che può essere descritto come clientelismo transnazionale: l’invio di ordini a broker e intermediari attraverso una distribuzione asimmetrica dei benefici. Nella politica clientelare una minoranza organizzata o un gruppo di interesse (lobby) beneficia a spese del pubblico con conseguenze negative sulla democrazia.
Le politiche dell’UE generalmente riflettono gli interessi delle lobby transatlantiche e, man mano che il loro potere cresce, aumenta anche la repressione del dissenso.
La capacità dell’UE di attrarre semplicemente basandosi sul suo soft power si è rapidamente rivelata un’illusione. La cooptazione dei vicini orientali richiedeva sia il pagamento che la coercizione.
I membri del Partenariato Orientale hanno presto scoperto che non c’è nulla di “libero” negli accordi di libero scambio con l’UE: le valutazioni di conformità di prodotti agricoli o industriali vengono concesse o negate sulla base di fattori esterni non correlati, come ad esempio il sostegno alle misure anti-russe. E una volta che i prodotti sono ritenuti idonei per i mercati dell’UE, il paese esportatore si rende conto che deve applicare gli stessi standard dell’UE anche alle sue importazioni, comprese quelle per gli appalti pubblici. Questo requisito è un fattore vincolante per le importazioni a basso costo di beni industriali da determinati mercati come la Cina o il CSI(4), porta a prezzi più elevati per i consumatori, a una gamma più ristretta di prodotti e all’emergere di monopoli. Il sogno di accedere a un mercato ricco può facilmente trasformarsi in un incubo, poiché il mercato interno è posto sotto la sorveglianza dell’UE e tenuto in ostaggio dagli esportatori occidentali e da standard dell’UE che cambiano in continuazione.
Il mito della superiorità degli standard UE ha portato anche a un diffuso senso di inadeguatezza tra coloro che non possono ottenere l’ambito certificato di conformità, un fenomeno psicologico che regola tipicamente i rapporti tra colonizzato e colonizzatore. Dopotutto, non ci sarebbe colonialismo senza una proiezione di superiorità.
I paesi del partenariato orientale si troveranno ad essere sempre un po’ “carenti”, non soddisferanno mai tutti i requisiti, perché sono utili solo nella misura in cui si auto-percepiscono come inadeguati e accettano di essere istruiti, consigliati, tirati per la giacca da quelli che ne “sanno di più”. Per compensare il loro complesso di inferiorità, le élite dei paesi orientali proiettano status abbracciando le ultime mode occidentali con uno zelo che spesso rasenta il ridicolo… e invariabilmente scelgono un’educazione anglo-americana per la loro prole. Adesso anche chi ha meno mezzi, ma i giusti contatti, può mandare i propri figli in una scuola straniera. Nel 2018, con il sostegno attivo dell’UE, è stata lanciata a Tbilisi, in Georgia, la prima scuola europea per studenti dei paesi del Partenariato Orientale. Ma l’invasione dei modelli educativi occidentali non si limita a poche scuole per privilegiati con i contatti giusti. Nei paesi del Partenariato Orientale sono state avviate ampie riforme per trasformare il loro sistema educativo in un vettore di influenza occidentale. Nel campo degli scambi, il principale contributo dell’UE è attraverso il programma Erasmus+, che aveva un budget totale per l’UE più paesi terzi di 4,7 miliardi di euro per il 2014–2020.
L’istruzione è uno degli elementi chiave di questo progetto di colonizzazione poiché i programmi educativi europei vengono utilizzati come un cavallo di Troia per demolire i quadri di riferimento esistenti, abolire lo studio del russo, sostituire norme, credenze e habitus culturale di un popolo. Cancellano il passato e riscrivono la storia nazionale come una lotta contro “l’invasione sovietica e il totalitarismo” — e si arriva persino alla celebrazione di un collaboratore nazista, come nel caso di Stepan Bandera. Questi programmi esaltano le virtù di un’identità europea comune (fittizia) e producono invariabilmente una nuova generazione di adoratori dell’Occidente pronti per la migrazione o la guerra (sia ibrida che convenzionale) contro la Russia, il loro vicino demonizzato.
Le ONG sono un altro canale cruciale dell’influenza e della pressione occidentale negli stati orientali.
Nel 2009, la Commissione Europea ha istituito, insieme al Partenariato Orientale, un Forum della società civile (CSF), apparentemente perché “gli attori della società civile fungono da correttivo alla politica statale negli stati meno democratici e autoritari in cui l’opposizione parlamentare non è in grado di svolgere questo ruolo”(5).
“Potenziare” la società civile con gli aiuti dell’UE è stata una caratteristica del progetto di Partenariato sin dall’inizio.
È anche degno di nota che lo stesso testo descriva un’organizzazione creata dalla Commissione Europea come “iniziativa della società civile”. Ancora un esempio di offuscamento della realtà, qualcosa che l’UE ha imparato a fare molto bene.
Il Forum non fa mistero delle sue attività: “Il CSF ha organizzato piattaforme nazionali per avere maggiore influenza a livello di governo negli stati del Partenariato. In una certa misura, la Commissione europea funziona anche come una sorta di mecenate nei paesi con deficit democratici e costituzionali che consente ai gruppi della società civile di formulare critiche pubbliche e offre loro maggiore libertà d’azione. Ad esempio, la piattaforma bielorussa ha sfruttato questa libertà d’azione per trasformarsi in un’organizzazione filoeuropea”.(6)
Sappiamo tutti cosa è successo in Bielorussia nel 2020.
Come spesso accade con questo tipo di iniziative della cosiddetta “società civile”, l’organizzazione statunitense NED fornisce esperienza e supporto.
Nel 2012 il CSF ha istituito una Segreteria, rendendo così ancora più chiaro che l’attivismo nella società civile è diventato una professione. Le ONG locali possono candidarsi per partecipare al Forum annuale ma… sono selezionate dal Servizio Europeo per l’Azione Esterna! Non sorprende che il CSF sia pieno di attivisti, membri dello staff e beneficiari della Open Society di Soros et similia. In questo schema fraudolento l’UE paga le operazioni di influenza di Soros e garantisce un ritorno per i suoi investimenti.
Ma ovviamente CFS e Open Society Foundations non sono le uniche organizzazioni presenti. I paesi del Partenariato Orientale pullulano di ONG. Quando si tratta di armare la società civile, uno degli attori più attivi nel Partenariato è l’European Endowment for Democracy (EED), istituito nel 2013 dall’UE sul modello del suo più noto omologo statunitense, il National Endowment for Democracy (NED).
EED e NED non hanno risparmiato sforzi nel plasmare il panorama mediatico, culturale e politico dei paesi post-sovietici. Potrei citare dozzine di esempi, ma questo va oltre lo scopo di questo articolo, quindi invito il lettore a dare un’occhiata ai rapporti annuali di NED ed EED.
In Moldavia, solo per limitarmi ad un esempio, hanno sostenuto testate giornalistiche, programmi radiofonici e televisivi in lingua russa e rumena che hanno svolto un ruolo fondamentale nell’elezione di Maya Sandu attaccando e screditando i suoi oppositori politici. L’ironia è che queste testate giornalistiche sono descritte come “indipendenti” nei documenti dell’EED. Ad esempio, da uno di questi rapporti apprendiamo che influencer e musicisti famosi come Pasha Parfeny, che aveva rappresentato la Moldavia al concorso Eurovisione 2012 con la sua canzone Lautar, erano stati cooptati e finanziati dall’EED.(7)
Un esito tragico
Nel corso degli anni il Partenariato è notevolmente cambiato poiché la realtà trova sempre il modo di farsi largo. Ora è composto da cinque paesi membri, la Bielorussia essendo di fatto uscita.
Dal momento che l’Armenia e l’Azerbaigian non hanno mai chiesto l’adesione all’UE e l’Armenia è entrata a far parte dell’Unione Economica Eurasiatica nel 2015, l’UE ha meno influenza lì rispetto a paesi desiderosi di aderire all’UE, come Ucraina, Moldavia e Georgia. Solo i primi due hanno ricevuto lo status di paese candidato all’UE come forma di compensazione per i servizi resi. Non sorprende che mostrino indicatori socioeconomici di gran lunga peggiori rispetto ai paesi che hanno mantenuto un certo grado di autonomia dall’Occidente: Ucraina e Moldavia erano i paesi più poveri d’Europa quando è stato lanciato il Partenariato Orientale, e lo sono tuttora. Gli ucraini, dopo essere stati vittime di campagne di propaganda e psy-op molto aggressive per quasi un decennio, hanno finito per combattere una guerra per procura per la NATO. Che è esattamente ciò per cui erano stati condizionati e addestrati.(8)
Molto prima dell’inizio dell’operazione militare speciale della Russia in Ucraina, gli Stati Uniti avevano stabilito una base importante nel paese, pompando miliardi di dollari in armi in Ucraina. Per anni il paese ha ospitato personale militare e di intelligence americano ed europeo, specialisti della guerra dell’informazione e squadre di supporto tecnico.
Di fatto, altri paesi del Partenariato sono stati designati dagli Stati Uniti come potenziali agnelli sacrificali. Oltre all’Ucraina, gli Stati Uniti e la NATO hanno istituito centri per coordinare le strategie di guerra ibrida in Georgia e Moldavia.
Su imbeccata degli USA, nel febbraio 2019 il Parlamento europeo ha annunciato l’istituzione di un’assemblea parlamentare regionale che comprende Ucraina, Moldavia e Georgia per stringere una cooperazione più stretta su “questioni strategiche come la guerra ibrida e la disinformazione”. È stato creato un gruppo di lavoro informale sulla disinformazione con il sostegno dell’Istituto Nazionale Democratico (NDI), uno dei componenti principali del NED.
Dopo l’Ucraina, anche la Moldavia e la Georgia hanno espresso il desiderio di aderire al Centro Europeo di Eccellenza per il Contrasto delle Minacce Ibride (Hybrid CoE) con sede a Helsinki, una joint venture UE-NATO impegnata nella guerra ibrida. Sebbene non siano elencati come partecipanti, collaborano già con Hybrid CoE.
Come se non bastasse, una lobby transatlantica travestita da think tank, nel 2020 chiedeva un Security Compact al Partenariato: un’iniziativa atta a creare una cellula di supporto e coordinamento dell’intelligence all’interno del Ministero degli Esteri e della Difesa dell’UE, per facilitare lo scambio di intelligence tra l’UE e i paesi del Partenariato. Tbilisi e Chisinau sono state suggerite come sedi per gli uffici di collegamento dei servizi segreti.(9)
L’idea che i paesi ex sovietici si sarebbero gradualmente allontanati dalla Russia sotto l’influenza del soft power occidentale e della promessa di un’ulteriore integrazione nell’UE, aveva senso quando l’UE rappresentava un modello di successo da emulare ed era un motore di crescita. Ma quell’idea era pericolosamente peregrina nel 2009, quando il crollo finanziario aveva già fatto crollare il castello di carte. L’UE, invece di risolvere i suoi problemi sistemici, ha escogitato nuovi schemi stravaganti e fraudolenti nel tentativo di rimanere rilevante.
Nel frattempo il baricentro economico e geopolitico si stava spostando a est verso l’Asia e l’ordine mondiale emerso negli anni ’90 mostrava segni di declino. Questa tendenza si è rafforzata nell’ultimo decennio e ora sta emergendo un ordine multipolare. Mentre l’Occidente si aggrappa alle sue manie di grandezza e superiorità morale, l’unico soft power che può proiettare è basato su bugie, doppi standard e vuote promesse. I bugiardi possono creare un’illusione di verità… finché non crollano sotto il peso delle loro menzogne.
Ma poiché estrarre ricchezza da una periferia di nazioni assoggettate e concentrarla nel nucleo imperiale richiede molto più del marketing, gli imperi sono sostenuti e di solito imposti con la forza militare. L’impero statunitense non fa eccezione e la militarizzazione dell’Europa da parte della NATO e la sua espansione verso est hanno accompagnato la retorica ipocrita di “libertà, democrazia e diritti umani”.
Considerando che l’iniziativa del Partenariato Orientale è stata venduta ai membri dell’UE come un modo “per proteggere i fianchi orientali dell’Europa”, che per inciso sono anche i fianchi occidentali della Russia, il conflitto in Ucraina e il suo impatto devastante sulla stabilità politica ed economica dell’UE mostrano chiaramente che l’esito di tale spinta espansionistica è stato tragico non solo per i paesi del Partenariato ma anche per l’UE.
Note
(1) European Council, ‘A Secure Europe in a Better World: European Security Strategy’, Brussels, 12th December 2003, p. 8.
(3) https://eap-csf.eu/wp-content/uploads/Compendium.pdf
(4) Commonwealth of Independent States. Include Armenia, Azerbaijan, Belarus, Kazakhstan, Kyrgyzstan, Moldova, Russia, Tajikistan, and Uzbekistan.
(5) https://dgap.org/en/research/publications/eastern-partnership-civil-society-forum
(7) https://www.democracyendowment.eu/en/our-work/firstpersonstories/1581-pasha-parfeny-and-lautar.html
(8) https://strategic-culture.org/news/2022/03/31/is-russia-losing-the-information-war/