PROMUOVERE LA “RICOSTRUZIONE IN UCRAINA” PER ALIMENTARE LA GUERRA
Marketing Ukraine’s Reconstruction to Fuel the War — Strategic Culture (strategic-culture.org)
L’operazione militare russa in Ucraina era appena iniziata e i principali attori della coalizione che sostiene l’Ucraina, così come le istituzioni finanziarie e i think tank transatlantici, stavano già discutendo della ricostruzione del Paese. Inevitabilmente la spacciavano come un’opportunità storica per il Paese: come una fenice che risorge dalle ceneri, l’Ucraina sarebbe diventata un faro di libertà, democrazia e legalità, un testimonial del Build Back Better, un successo della transizione verde e digitale; il Paese avrebbe bruciato in corsa diverse fasi di sviluppo e la sua crescita economica avrebbe replicato il boom della Germania del dopoguerra. Non sorprende che gli esempi più recenti, e molto meno edificanti, di “ricostruzione” guidata dall’Occidente in Iraq, Libia e Afghanistan non vengano mai menzionati.
La velocità con cui sono state sfornate narrazioni fantasiose di ripresa e ricostruzione non dovrebbe sorprendere nessuno: erano state concepite anni prima nell’ambito di diversi “piani di riforma” per l’Ucraina. Si potrebbe dire che sono parte della strategia di questa guerra per procura contro la Russia e chi le ha prodotte lavora direttamente o indirettamente per governi e lobby coinvolti sia nella distruzione dell’Ucraina che nell’ucrainizzazione dell’Europa, un processo finalizzato a controllare, militarizzare e saccheggiare il Vecchio Continente.
Non c’è dubbio che l’Ucraina dovrà essere ricostruita una volta che la guerra sarà finita, ma “distruzione” e “ricostruzione” significano cose diverse per persone diverse in contesti diversi.
Ad esempio, c’è un forte disaccordo su cosa si intenda per “distruzione”, su quando sia iniziata la “distruzione” dell’Ucraina e di chi sia colpa. Il campo semantico, come la storia, è un territorio fortemente conteso.
Chi ha seguito le vicende ucraine senza pregiudizi ideologici, e con un minimo di onestà intellettuale, sa che al momento della dissoluzione dell’URSS, l’Ucraina era una potenza economica, la terza potenza industriale dell’Unione Sovietica dopo Russia e Bielorussia, oltre che il suo granaio. Questa repubblica sovietica possedeva industrie aerospaziali, automobilistiche e di macchine utensili, i suoi settori minerario, metallurgico e agricolo erano ben sviluppati, come i suoi impianti nucleari e petrolchimici, le sue infrastrutture turistiche e commerciali. Ospitava inoltre il più grande cantiere navale dell’URSS.
Un continuum di distruzione
A partire dal 1991, anno della sua indipendenza, il PIL dell’Ucraina è rimasto indietro rispetto al livello raggiunto in epoca sovietica, la capacità industriale si è notevolmente ridotta e la popolazione è diminuita di circa 14,5 milioni di persone in 30 anni a causa dell’emigrazione e del più basso tasso di natalità in Europa. Non solo, l’Ucraina è anche diventata il terzo debitore del FMI e il Paese più povero d’Europa. Questi record negativi non possono essere imputati solo alla corruzione sistemica e spaventosa dell’Ucraina: le reti di corruzione che hanno spremuto l’Ucraina sono transnazionali.
L’Ucraina è stata vittima di due rivoluzioni colorate finanziate dagli Stati Uniti che hanno portato a un cambio di regime e ad una guerra civile che l’hanno separata a forza dal suo principale partner economico, la Russia. La sua storia è stata cancellata e riscritta, le ricette neoliberali hanno distrutto il suo tessuto economico e sociale instaurando una forma di governo neocoloniale.
L’Ucraina è entrata a far parte del nefasto Partenariato Orientale (1) dell’UE nel 2009 e, fin dalla sua indipendenza, è stata invasa da ONG, consulenti economici e politici occidentali. Lo stato di soggezione del Paese ostaggio degli interessi anglo-americani si è cementato dopo che l’ultimo governo ucraino che si era opposto alle dure condizioni del FMI è stato rovesciato dal colpo di stato sponsorizzato dagli Stati Uniti nel 2014.
Il 10 dicembre 2013, il presidente ucraino Viktor Yanukovich aveva dichiarato che le condizioni poste dal FMI per l’approvazione del prestito erano inaccettabili: “Ho avuto una conversazione con il vicepresidente degli Stati Uniti Joe Biden, mi ha detto che la questione del prestito del FMI è stata quasi risolta, ma gli ho ripetuto che se le condizioni fossero rimaste tali non avremmo avuto bisogno di tali prestiti”. Yanukovich ha quindi interrotto i negoziati con il FMI e si è rivolto alla Russia per ottenere assistenza finanziaria. Era la cosa più sensata da fare, ma gli è costata cara. Non è possibile rompere impunemente le catene del FMI: questo fondo a guida americana concede prestiti a paesi con l’acqua alla gola in cambio della solita shock therapy fatta di austerità, deregolamentazione e privatizzazione, e prepara in questo modo il terreno per gli avvoltoi della finanza internazionale, quasi sempre angloamericani.
Se si permette a coloro che hanno distrutto un Paese di essere coinvolti nella sua ricostruzione, essa sarà inevitabilmente solo un punto sul continuum di conquista, occupazione e saccheggio, anche se viene imbellettato. La distruzione produce quella tabula rasa su cui l’occupante può scrivere le proprie regole: “Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove hanno fatto il deserto, lo chiamano pace”. Tacito conosceva bene sia la realtà che la propaganda dell’imperialismo romano. Ci si può solo chiedere se coloro che parlano di “ricostruzione”, “ripresa”, “riforma”, “ordine fondato sulle regole”, “reset” o qualsiasi altra espressione di moda al momento, siano consapevoli di questa realtà brutale o credano veramente alla propria propaganda. In ogni caso, promettono un’utopia futura per la quale vale la pena uccidere e morire.
Il capitalismo occidentale ha creato la propria escatologia secolare, sostituendo la promessa della vita eterna dopo la morte con la speranza di un mondo migliore in futuro, suscitando aspettative che vengono costantemente deluse. Incapace di risolvere le sue crescenti contraddizioni nel presente, il capitalismo rimanda la soluzione al futuro. L’utopia promessa, incorporata nella narrazione ambientalista-tecnocratica, è un tentativo di distogliere l’attenzione dalle tendenze distruttive insite nel capitalismo stesso, che ancora una volta ha fatto ricorso alla guerra e all’espansione dei budget militari per tirarsi fuori dalle sue crisi sistemiche. Le guerre, con i loro cicli di distruzione e ricostruzione, forniscono sia uno stimolo economico nel quadro della stagnazione attuale che uno sbocco per la sovraaccumulazione del capitale.
ll centro di gravità economica si è spostato in Asia, un mercato quello asiatico in cui gli Stati Uniti devono affrontare la forte concorrenza della Cina, e mentre l’egemonia statunitense si indebolisce, le élite occidentali si trovano di fronte alla scelta di sostenere il vecchio egemone oppure cercare un accordo con le potenze emergenti, un’opzione che non solo ridurrebbe la loro influenza e i loro profitti scandalosi, ma accelererebbe anche il declino degli Stati Uniti.
Poiché il potere militare e l’influenza USA sull’economia globale sono da tempo intrecciati e la perdita dell’uno comporterebbe la perdita dell’altra, gli Stati Uniti hanno stretto la presa sui loro vassalli, hanno raddoppiato le loro ambizioni egemoniche e preferiscono indulgere in grandiose e pericolose fantasie piuttosto che accettare la nuova realtà multipolare. Le loro fantasticherie non possono garantire una crescita reale, ma aiutano a manipolare il sentimento del mercato, ed è per questo che l’Impero sta investendo una parte considerevole delle sue risorse per colonizzare le menti e blindare le sue narrazioni con metodi polizieschi.
Il compito di coloro che progettano contemporaneamente la distruzione e la ricostruzione è quello di ridurre la dissonanza cognitiva tra lo stato di miseria attuale e i proclami di un futuro radioso.
“La guerra è pace. La schiavitù è libertà. L’ignoranza è forza”.
Vendere una guerra richiede un impegno a tutto campo, ed è per questo che i think tank e gli specialisti di marketing sono stati coinvolti fin dalle prime fasi. Essi generano narrazioni che contribuiscono a plasmare lo spazio discorsivo, a creare una percezione di sostegno universale per l’Ucraina, a fornire punti di discussione e versioni della verità sia ai politici che ai media. Devono motivare gli ucraini affinchè continuino a combattere e i vassalli europei affinchè continuino a finanziare la guerra e ad armare l’Ucraina, indipendentemente dalle devastanti perdite umane ed economiche che ciò comporta.
Se coloro che hanno organizzato e partecipato alle conferenze sulla ricostruzione che si sono tenute finora non hanno mai parlato di pace è anche perché la possibilità di negoziati di pace con la Russia è stata performativamente e normativamente esclusa dal discorso occidentale. L’ultima volta che i leader occidentali hanno affermato di volere la pace in Ucraina, stavano mentendo. Come ora sappiamo, gli accordi di Minsk erano stati firmati da Angela Merkel e François Holland solo per guadagnare tempo e permettere a Kiev di prepararsi alla guerra.
L’UE è così impegnata per la pace che, in modo davvero orwelliano, nel 2021 ha istituito il Fondo Europeo per la Pace (2) per finanziare operazioni militari, fornire attrezzature militari e addestramento a non meglio precisati “partner dell’UE” — l’Ucraina non poteva ancora essere apertamente menzionata. Il fondo, del valore di 5 miliardi di euro, è stato finanziato al di fuori del bilancio, per un periodo di sette anni.
Quando nell’ottobre del 2022 Volodymyr Zelensky firmò un bizzarro decreto che vietava i colloqui con l’attuale leadership russa, non fece altro che formalizzare qualcosa che era già diventato un dogma in Occidente. Sei mesi prima, in aprile, Boris Johnson si era recato a Kiev per fare pressioni su Zelensky affinché interrompesse i negoziati di pace con la Russia, proprio quando le due parti sembravano aver fatto qualche tenue progresso durante i colloqui di Istanbul.
A marzo, Denis Kireev, membro della delegazione ucraina che a febbraio aveva partecipato ai colloqui di pace in Bielorussia, è stato ucciso dai servizi di sicurezza del suo Paese. Il premier israeliano Naftali Bennet, che aveva tentato di mediare un accordo di pace tra Russia e Ucraina, ha rivelato come gli anglo-americani, con Boris Johnson di nuovo nel ruolo di capo del clan, avessero bloccato i suoi sforzi. Vari promotori della pace, tra cui Roger Waters, ex frontman dei Pink Floyd, sono stati aggiunti all’infame database ucraino Mirotvorets. Coloro che traggono profitto dalla guerra e vogliono vedere la Russia indebolita e persino smembrata non si fermano davanti a nulla pur di impedire i colloqui di pace.
I politici europei, mentre sono alle prese con i costi sempre più crescenti di una guerra per procura degli americani nel loro continente, come meccanismo di compensazione sostengono l’idea assurda che una soluzione di pace in Ucraina minaccerebbe la sicurezza europea e non sarebbe nell’interesse del Vecchio Continente. La retorica della ricostruzione, intrecciata all’illusione di una vittoria dell’Ucraina, permette al partito transatlantico della guerra di presentarsi come una forza del bene e un motore di crescita futura. I promotori della ricostruzione hanno cercato aggressivamente di occupare il terreno morale estromettendo i costruttori di pace e per farlo hanno spinto la tesi che la guerra non poteva essere impedita né fermata.
Nel marzo 2022, a meno di un mese da quando le truppe russe avevano varcato il confine ucraino, il Center for Strategic and International Studies (CSIS), think tank legato al complesso militare-industriale e all’intelligence statunitense, ha pubblicato un bizzarro articolo intitolato “Ricostruire l’Ucraina dopo la guerra “(3). Nell’articolo la distruzione delle infrastrutture ucraine viene paragonata ad un disastro “naturale” quale l’uragano che ha distrutto Porto Rico nel 2017 e si sostiene che la ricostruzione offrirebbe l’opportunità di “migliorare quanto esisteva in passato”, aprendo la strada a un futuro radioso, una tecno-utopia ordinata, pulita e verde che esiste solo nelle simulazioni digitali degli studi di architettura.
Presentando la guerra come un disastro naturale, anziché come un disastro causato dall’uomo, coloro che hanno militarizzato l’Ucraina e sabotato tutti gli accordi di pace, intendono evitare qualsiasi discussione seria sulle cause e sulle possibili soluzioni di questo conflitto. Se la guerra in Ucraina è riconducibile ad un evento improvviso e inevitabile come un uragano, allora diventa inutile cercare una spiegazione diversa da “Putin è un pazzo sanguinario, il male incarnato” o “la Russia è un Paese imperialista”.
La devastazione provocata dalla guerra è stata presentata dai media occidentali come il risultato di una sorta di appetito congenito dei soldati russi per la distruzione — in Occidente sono tornati di moda i peggiori luoghi comuni nazisti e le truppe russe possono essere impunemente descritte come “un’orda di barbari asiatici”. Lo stretto controllo esercitato sul sistema dell’informazione ha fatto sì che l’opinione pubblica occidentale rimanesse all’oscuro del ruolo svolto nella distruzione dei quartieri residenziali dai nazionalisti ucraini, che allestiscono postazioni di tiro, schierano veicoli blindati, nascondono l’artiglieria in aree densamente popolate e usano i civili come scudi umani. Non esattamente “naturale”. Ancora meno naturale è stato lo scoppio di questa guerra, a meno che non si consideri l’espansione della NATO e gli obiettivi geopolitici degli Stati Uniti come parte di un piano divino, una “manifestazione del destino”.
La narrazione del CSIS è stata successivamente ripresa e amplificata in varie conferenze sulla ricostruzione dell’Ucraina. “Pensare alla ripresa significa immaginare un futuro postbellico, e questo si collega al messaggio congiunto della speranza e della necessità di continuare a combattere”. Questo messaggio, costantemente amplificato dagli opinionisti occidentali, è rivolto principalmente a coloro che hanno bisogno di essere rassicurati che trarranno vantaggio dall’escalation di questo conflitto, indipendentemente dalle perdite attuali. E questo include una vasta schiera di soggetti che hanno investito nella guerra, sia nei Paesi della NATO che in Ucraina.
Preparare l’Ucraina alla guerra ed espandere la rete dei suoi sostenitori
Ci sono stati diversi antecedenti alle recenti conferenze in cui i rappresentanti dei governi, delle istituzioni finanziarie e delle imprese occidentali hanno discusso come permettere all’Ucraina di continuare a combattere “fino all’ultimo uomo”, adescandola con promesse di riforme e ricostruzione, ma una conferenza spicca come diretto progenitore. E ha tutte le caratteristiche di un’operazione dell’intelligence britannica per influenzare il sentimento politico in Europa.
Il 6 luglio 2017 il Ministero degli Esteri del Regno Unito, guidato allora da Boris Johnson, organizzò e ospitò a Londra la prima Ukraine Reform Conference. Membri del governo e del para-governo ucraino, noti “amici dell’UK/raina” come Christya Freeland e altri anglofili con russofobia conclamata, molti dei quali provenienti dai Paesi baltici e dall’Europa dell’Est, soverchiavano numericamente i partecipanti più moderati, esponendoli al loro fanatismo per facilitarne la radicalizzazione e il reclutamento alla causa anti-russa. Il potere del conformismo e della suggestionabilità, e la pressione del gruppo avrebbero fatto sì che i partecipanti, che in precedenza avevano opinioni moderate, gravitassero verso le opinioni estremiste espresse dalla maggioranza.
Il presunto scopo di questa conferenza era quello di cercare un sostegno politico e finanziario per il Piano di Riforma 2020 dell’Ucraina (4), una tabella di marcia neoliberale progettata per creare condizioni ottimali per gli interessi occidentali, preparando al contempo la popolazione e l’esercito ucraini alla guerra. Questo piano di riforma a medio termine definiva i principali obiettivi e priorità del governo ucraino per il periodo 2017–2020 costituendo la base per i piani strategici dei ministeri e degli altri organi esecutivi. Raccomandava la privatizzazione delle imprese statali, la deregolamentazione, la riforma del sistema giudiziario, modifiche al diritto del lavoro, riforme del mercato fondiario, il decentramento, l’educazione patriottica, la trasformazione delle forze armate in un “esercito moderno ed efficace in linea con gli standard della NATO”, l’aumento della spesa militare al 6% del PIL, e l’integrazione dell’Ucraina nello spazio politico, economico e giuridico europeo. In breve, si trattava di una tabella di marcia per il completo controllo delle istituzioni economiche, politiche e sociali dell’Ucraina, e per un’ulteriore militarizzazione del Paese.
La conferenza aveva anche altri scopi. I principali sostenitori dell’espansionismo anglo-americano verso est, che hanno investito molto sull’Ucraina, dopo l’elezione di Donald Trump non potevano fare pieno affidamento sulla Casa Bianca per promuovere la loro agenda: La politica estera di Trump, “America First”, aveva messo a dura prova le relazioni con gli alleati della NATO e congelato gli aiuti militari all’Ucraina — la vendita di armi andava bene, l’invio gratuito non tanto. Londra non vedeva l’ora di assumere la leadership e garantire che l’Ucraina procedesse sui binari prestabiliti e restasse una priorità dell’agenda transatlantica. Assumere la guida significava poter coordinare e strategizzare il sostegno all’Ucraina, oltre che un’opportunità per il governo britannico di rafforzare la propria influenza, soprattutto in un momento in cui i negoziati per la Brexit erano appena iniziati e Londra temeva di perdere peso politico in Europa. Le élite britanniche erano determinate ad assicurarsi un posto in prima fila nell’eventuale saccheggio dell’Ucraina.
La mossa diede i suoi frutti: negli anni successivi la partecipazione alla conferenza annuale aumentò, includendo un maggior numero di rappresentanti di Stati Uniti, NATO, OCSE, G7 e Paesi europei, OSCE, Consiglio d’Europa, FMI, Banca europea per gli investimenti, Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo e Banca mondiale.
Dopo l’intervento militare della Russia nel 2022, la Ukraine Reform Conference (URC) venne rapidamente rinominata Ukraine Recovery Conference. La continuità è evidente: acronimo, logo e immagine aziendale sono rimasti esattamente gli stessi quando, nel luglio 2022, la conferenza si è tenuta a Lugano, in Svizzera.
Non sorprende che la conferenza di Lugano si sia rivelata poco più di un esercizio di pubbliche relazioni, con tanto di screzi tra i partecipanti che si contendevano la loro parte del futuro bottino di guerra e che abbia offerto l’opportunità al primo ministro ucraino Denys Shmygal, sostenuto da Liz Truss, di chiedere il sequestro dei beni russi congelati con la scusa di finanziare il progetto di ricostruzione del suo Paese. L’appello di Shmygal ha fatto rabbrividire le autorità svizzere, perché non solo la confisca di questi beni violerebbe il diritto internazionale, ma infliggerebbe anche un colpo durissimo alla credibilità delle banche svizzere.
Cresce la pressione sull’Europa
Brookings, il think tank statunitense che fu direttamente coinvolto nella progettazione e attuazione del Piano Marshall per il riassetto postbellico dell’Europa occidentale, ha dovuto ammettere che la conferenza di Lugano, tenutasi a luglio, “è stata un’occasione mancata perché i Paesi donatori non si sono presentati preparati con un accordo sui meccanismi di coordinamento, sulla divisione dei compiti o sui livelli di finanziamento necessari. Inoltre, gli Stati Uniti non sono stati rappresentati da funzionari di grado pari a quello della rappresentanza europea”.(5)
Una critica simile è stata espressa dal German Marshall Fund of the United States, un altro think tank statunitense. Il GMF ha affermato che la Commissione europea non aveva “né il necessario peso politico né quello finanziario” per guidare la ricostruzione. E ha sconsigliato la creazione di una nuova agenzia o di un fondo fiduciario centralizzato. Suggerendo invece che il G7 e l’Ucraina nominino “un americano di levatura globale” come coordinatore della ricostruzione “perché solo gli Stati Uniti saranno in grado di mettere insieme una coalizione globale e di creare consenso tra i partner dell’Ucraina”.(6)
Gli anglo-americani, che hanno bisogno dell’UE per finanziare la guerra e sostenere masochisticamente i loro piani geopolitici, sono rimasti delusi dal fatto che i Paesi più ricchi dell’UE non avessero sborsato la somma che si aspettavano: in questa truffa Germania, Francia e Italia sono i polli da spennare.
Se l’Ucraina è l’esca, l’Europa è la vera preda e gli Stati Uniti non si fanno scrupoli per raggiungere i loro obiettivi: dalle tecniche di persuasione, alle pressioni dirette, ai ricatti fino ad arrivare ad atti di terrorismo, come dimostra il sabotaggio del Nord Stream.
Per tutte le loro promesse di aiutare l’Ucraina, coloro che hanno partecipato alle conferenze in cui si discuteva di “ripresa e ricostruzione” sembravano vincolati da una tacita promessa di non sostenere mai i negoziati di pace con la Russia. Ma la pace non dovrebbe essere una condizione necessaria per la ripresa? Dipende da cosa intendiamo per ripresa.
Ad esempio, il Centre for Economic Policy Research (CEPR), con sede a Londra, ha espresso chiaramente la sua idea di “ripresa” in un documento intitolato “Macroeconomics Policies for Wartime Ukraine “(7) , che delineava le politiche per “indirizzare l’economia ucraina su una traiettoria sostenibile per la durata della guerra”. Le stesse raccomandazioni sono diventate un dogma a Davos, dove i membri della setta del World Economic Forum hanno sottolineato la necessità di iniziare la ricostruzione mentre la distruzione è ancora in corso.
Affinché la guerra continui, il regime ucraino deve essere finanziato da donatori stranieri e i rifugiati ucraini devono tornare a casa, cioè in un luogo descritto come “l’inferno della guerra” nella stessa frase: “Abbiamo l’obbligo morale di alimentare la speranza di queste persone per aiutarle a rimanere forti nell’inferno della guerra. Così facendo, incoraggeremo anche i rifugiati ucraini a tornare in patria”. La ciliegina sulla torta è il cinico riferimento all’inclusività, perché nessuna disabilità dovrebbe esentare gli ucraini dal contribuire allo sforzo bellico, anche loro sono chiamati a occupare i posti di lavoro lasciati vacanti dai morti e da chi si trova al fronte. “L’inclusività è particolarmente importante. Migliaia di ucraini hanno già ricevuto ferite molto gravi (…) molti di loro dovranno continuare la loro vita e il loro lavoro in una condizione di disabilità “(8) .
Personale, aiuti militari e finanziari sono tutti elementi necessari per garantire che l’Ucraina si mantenga abbastanza in forze da non crollare mentre combatte una guerra per procura. Detto questo, la pubblicizzazione degli aiuti e delle promesse di investimento in Ucraina hanno anche uno scopo strategico: inviare il messaggio che i Paesi occidentali formano un blocco compatto che resterà unito a qualunque costo e segnalare ad altre nazioni che anch’esse potranno trarre vantaggio se si allineano a questo blocco. Pura illusione, ovviamente.
Con il PIL ucraino che si prevede diminuirà di oltre il 45%, con un deficit di bilancio che raddoppierà a causa dell’aumento delle spese militari e del sostegno umanitario e delle imprese, e che dovrebbe aver raggiunto i 45 miliardi di dollari entro la fine del 2022, perché mai gli investitori internazionali dovrebbero essere interessati a uno Stato fallito e in guerra? Chiedetelo a BlackRock e JP Morgan.
Gli avvoltoi di Wall Street
Un Paese fortemente indebitato e in ginocchio non può impedire la vendita di asset e il saccheggio delle sue risorse. E se quel Paese è in guerra “per difendere i valori occidentali e la democrazia”, riceve miliardi di dollari, euro e yen in aiuti finanziari e militari. La gestione di questi aiuti fa gola a tanti.
La promessa della ricostruzione dell’Ucraina da parte di un governo parallelo composto dal solito cast di società di consulenza a scopo di lucro, società di ingegneria, mega-ONG, governi stranieri, agenzie di aiuti internazionali e istituzioni finanziarie rende certamente attraente la prospettiva di un partenariato pubblico-privato (PPP). Ma tutto questo presuppone che l’Ucraina vinca la guerra e rimanga sotto il controllo dell’Occidente, cosa di cui sono ancora convinti solo coloro che bevono il Kool-Aid atlantista.
Scommettere sulla vittoria dell’Ucraina è una scommessa molto rischiosa anche per i giocatori abituali del vasto casinò conosciuto anche come sistema finanziario occidentale. Sì, il debito può essere riimpacchettato in modo creativo e venduto agli investitori globali, una truffa che farebbe impallidire la crisi dei mutui subprime. Il problema è che non c’è molta liquidità nel giardino europeo di Josep Borrell, né nella Land of the Free di Joe Biden.
I prezzi e il costo del denaro sono aumentati drasticamente, il sentimento dei mercati è negativo, non c’è una soluzione all’orizzonte per l’inflazione, lo spettro della recessione incombe sui Paesi occidentali, il rapporto debito/PIL è spaventoso e il sistema finanziario è in profonda crisi.
Mentre i leader politici e i boss della finanza occidentali ripetono il mantra “tutto va bene” nel loro universo parallelo, come quello di Davos, non si tratta di nient’altro che uno di quegli esercizi per “aumentare la sicurezza in se stessi” che i loro tirapiedi praticano davanti allo specchio.
Attirare gli investimenti stranieri è tutt’altro che facile, come ha candidamente ammesso il Ministro delle Finanze ucraino (9), pur ritenendo che una PPP con BlackRock “possa aiutare ad attrarre capitali anche a fronte di una cattiva reputazione (…) Ovviamente, gli investitori privati mostreranno molta più fiducia in progetti o in un fondo in cui una società di fama mondiale svolge un qualche ruolo. Anche se si tratta solo di un ruolo di consulenza.(…) Poiché gli investitori hanno spesso l’istinto del branco, l’opzione di creare un fondo di investimento BlackRock per accumulare fondi da investitori privati e finanziare progetti ucraini è considerata ottimale”.
Nel novembre 2022 la cooperazione di BlackRock con il governo ucraino è stata formalizzata in un Memorandum d’Intesa: l’azienda fornirà consulenza al Ministero dell’Economia.
BlackRock è diventato il più grande asset manager del mondo proprio grazie alle crisi: dopo i crolli finanziari del 2001 e del 2008 ha svolto un ruolo di primo piano nella consulenza a governi e aziende, nonostante sia stato direttamente coinvolto in entrambe le crisi, ed è stato incaricato dalla Federal Reserve di gestire il suo massiccio programma di acquisto di debiti societari in risposta alla crisi Covid-19. Ogni bailout (salvataggio) di Wall Street è essenzialmente un bailout del bailout precedente, con la Fed che pompa altri miliardi nel settore finanziario sotto la copertura di una qualche emergenza o crisi. La bolla si ingrandisce a ogni bailout, le élite da veri predatori primari in testa alla catena alimentare accumulano sempre più potere e ricchezza a spese di tutti gli altri.
A febbraio, JP Morgan, la più grande banca degli Stati Uniti, ha seguito l’esempio di BlackRock e ha firmato un memorandum d’intesa con Volodymyr Zelensky con l’obiettivo di attirare capitali privati in un nuovo fondo d’investimento costituito da 20–30 miliardi di dollari.
Se si vogliono spingere gli investitori, aziendali e istituzionali, verso l’ennesimo schema fraudolento, bisogna travestirlo bene: “Investire nella ricostruzione dell’Ucraina” suona molto meglio di “Finanziare una guerra per procura” a chi gestisce il vostro fondo pensione.
Più il piano è audace, più deve fare affidamento sui finanziamenti pubblici, il che non è certo un problema quando il sistema delle porte girevoli con il governo permette ai colossi di Wall Street di dettare le proprie regole. Il piano di ricostruzione dell’Ucraina segue lo stesso modello.
Parlare di “ricostruzione” ha l’ulteriore vantaggio di distogliere l’attenzione dai legami d’interesse che BlackRock e JP Morgan hanno nella continuazione della guerra: detengono infatti importanti pacchetti azionari dei principali appaltatori militari e produttori di armi degli Stati Uniti. Ma non devono preoccuparsi troppo che i media puntino i riflettori su di loro: detengono anche grandi quote dei principali media mainstream.
A Davos, Jamie Dimon, amministratore delegato di JP Morgan, ha avvertito che il conflitto in Ucraina è un punto di svolta che potrebbe avere un impatto sul mondo occidentale per decenni a venire e trasformare completamente l’ordine globale. È un’affermazione talmente ovvia che non vale nemmeno la pena di farla, ma a giudicare dalla traiettoria della guerra in Ucraina, l’ordine mondiale che alla fine ne emergerà potrebbe non essere di gradimento a Dimon e ai suoi compari. Il mondo sta diventando multipolare, le potenze che si erano consolidate nel XX secolo come gli Stati Uniti e l’Europa stanno cedendo importanza e influenza all’Asia in crescita, con la Cina a fare da locomotiva. La fine dell’egemonia degli Stati Uniti non può essere evitata e le élite occidentali sono consapevoli che il sistema fraudolento e iniquo a cui devono il loro potere è ormai condannato. Naturalmente, continueranno a sfruttarlo fintanto che gli è concesso.
- Eastern Partnership, the EU’s Geopolitical Gamble Leading Europe Into the Abyss — Strategic Culture (strategic-culture.org)
- European Peace Facility — Consilium (europa.eu)
- Rebuilding Ukraine after the War (csis.org)
- ukraine-government-priority-action-plan-to-2020.pdf (publishing.service.gov.uk)
- Takeaway from Berlin Ukraine recovery conference: Donor coordination for Ukraine is coming but not here yet (brookings.edu)
- Financing and governing the recovery, reconstruction, and modernization of Ukraine (brookings.edu)
- Macroeconomic Policies for Wartime Ukraine | CEPR
- Ukraine’s future must be green, inclusive and technology-driven | World Economic Forum (weforum.org)
- BlackRock в Украине: что на самом деле будет делать здесь инвестиционный гигант (minfin.com.ua)